La storia cambia a seconda di chi la racconta. Un attimo, però: qui non si parla delle interpretazioni che possono variare a seconda degli studi, o della frase fatta «la storia la scrivono i vincitori», come se la storia ufficiale fosse sempre falsa e la verità si celasse solo nei racconti dei vinti. Su questo argomento ci sarebbe tanto da dire, ma l’articolo non parla di questo. Il tema qui non è la semplice manipolazione della storia, ma la sua trasformazione in uno strumento utile a raggiungere uno scopo: giustificare un regime, raccontare storie perverse che non si ha il coraggio di ambientare nel presente, o generare più vendite di un determinato prodotto.

Un’abitudine vecchia come il mondo

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Il faraone Ramses II calpesta i nemici ittiti

La manipolazione della storia più scontata è quella legata alla propaganda. Da sempre re, capi tribali, funzionari, insomma, chiunque ricopra una posizione di potere ha cercato di rendere più nobili e grandiose le proprie imprese. Spesso si tratta di abbellimenti, ma a volte ci sono vere e proprie falsificazioni. Una delle più interessanti è l’antichissimo resoconto della battaglia di Qadesh avvenuto fra egizi e ittiti nel 1275 a.C.

In breve, egizi e ittiti si contendevano alcuni territori in Siria e i contrasti crebbero fino ad arrivare alla guerra, culminata nella battaglia di Qadesh. Il faraone Ramses II tornò in patria proclamando una schiacciante vittoria egizia, che esaltò con ogni mezzo, come si vede dall’imponente complesso di Abu Simbel, dove un’intera sala è dedicata alla battaglia. Qui si vede il faraone calpestare e uccidere i nemici ittiti, travolti dalla potenza del suo esercito.

Per secoli tutti pensarono che la storia fosse andata così, fino a che nei primissimi anni del Novecento gli archeologi tedeschi scoprirono circa 10.000 tavolette di argilla nel sito di Hattusa (attuale Turchia), l’antica capitale degli ittiti. Si trattava dei resti dell’archivio reale ittita e tra i molti documenti ne emerse uno di straordinaria importanza: la copia del trattato di pace tra egizi e ittiti del 1259 a.C., sedici anni dopo la battaglia. Il testo descrive una situazione in cui non ci furono né vincitori, né vinti, dato che si tornò allo status quo ante. La battaglia non aveva decretato una vittoria netta di nessuna della due parti; anche se gli ittiti furono infine avvantaggiati, perché tornarono in possesso dei territori siriani contesi. Le immagini degli ittiti fatti a pezzi e umiliati dalla strabordante supremazia egizia erano pura propaganda.

Storia come propaganda: oggi

Gli esempi della manipolazione della storia, o della sua semplice esaltazione, sono numerosissimi. Sono soprattutto i regimi autoritari a servirsene, basti pensare alla glorificazione del passato germanico per il nazismo e di quello romano per il fascismo. L’interesse della politica verso la storia è però presente anche oggi, soprattutto quando si tratta di prodotti di consumo di massa. Un esempio sono i film, come quelli cinesi che celebrano la Rivoluzione e la nascita della Repubblica Popolare cinese, o quelli russi, che inneggiano al passato vichingo e alla vittoria nella seconda guerra mondiale.

La propaganda esiste anche negli stati democratici (Hollywood insegna qualcosa), ma la differenza è che non c’è una precisa linea politica dettata dallo stato. Non esiste, per esempio, la censura a livello accademico e il controllo dei programmi scolastici come in Russia, dove negli ultimi anni i manuali di storia sono stati pesantemente revisionati perché non contraddissero le affermazioni dei politici.

Storia come bussola per ritrovare se stessi

Popoli in cerca di identità

Chi siamo? Ce lo dice il passato. Anche qui, ci sarebbero molti appunti da fare, perché il discorso non è così semplice. In ogni caso, è altissimo il rischio di una manipolazione della storia per rendere più netto confine tra «noi» e «loro», cercando nel passato una giustificazione a idee e politiche del presente.

Un caso interessante è l’esaltazione del mondo barbarico da parte del movimento völkisch tedesco (Cosa vuol dire völkisch?). Tra Ottocento e Novecento in Germania si diffuse una corrente di pensiero che disprezzava la modernità ed esaltava il passato, soprattutto quello germanico. I germani divennero il simbolo della lotta contro il progresso e la civiltà, che non porterebbe altro che perdita di libertà, allontanamento dalla natura e imbastardimento razziale.

La cultura popolare assorbì queste idee, anche grazie a romanzi di straordinario successo, come «Una battaglia per Roma» di Felix Dahn (1867), che narra la lotta per la supremazia in Italia tra goti e romani. Questi ultimi vengono dipinti come il prodotto degenerato di una razza ormai meticcia e subdola, in contrasto con l’eroismo, la purezza razziale e la forza fisica dei goti/germani. L’opera era stata scritta pensando alle comunità tedesche del Tirolo, per esortarle a non mescolarsi con gli italiani, come sarebbe potuto succedere dopo l’Unità d’Italia appena avvenuta.

Il ritorno dei barbari

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Una scena dal film lettore "Il re vichingo" (2018)

L’ammirazione per il passato più remoto di un popolo, incorrotto sia dal punto di vista etnico che etico, non è certo limitata ai tedeschi di due secoli fa. Anzi, negli ultimi anni in Europa c’è stato un boom di produzioni per cinema e TV che hanno come protagonisti i barbari.

Un interessantissimo articolo del giornale “El Espagnol” fa notare la distanza tra produzione «alta», cioè film di grandi registi europei capaci di fare autocritica riguardo al passato e al presente del loro Paese, e produzione «bassa», cioè prodotti destinati a piattaforme generaliste e a canali TV privati, dove regna la manipolazione della storia e si esaltano «gli onesti barbari pagani» contro i brutali, perversi e infidi conquistatori. I barbari sono idealizzati in film ucraini, baltici, olandesi, norvegesi, e persino «Il primo re» di Matteo Rovere raccontando la nascita di Roma, da sempre simbolo per eccellenza della civiltà, finisce per ritrarre con ammirazione i barbari protolatini.

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In alcuni casi il modello «barbarico» serve per ricreare atmosfere apocalittiche, più simili a un fantasy che a un film di ambientazione storica reale. In altri, però, appare evidente l’esaltazione nazionalistica che vi è dietro: il nemico può essere un barbaro ancora più barbaro (come i mongoli), ma è significativo che in così tanti film, film di questi anni, il nemico sia la civiltà. Cioè, l’impero (romano, germanico, spagnolo), la Chiesa, generalmente l’Occidente, rappresentanti di forze unificatrici contro cui si scagliano piccoli gruppi agguerriti che invocano l’autonomia politica. Non è difficile riconoscere un riferimento all’Unione Europea e alle spinte nazionaliste e secessioniste presenti in alcuni Paesi europei.

Storia come strumento di marketing

Adattare gli uomini del passato a quelli di oggi

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L'Inghilterra alternativa rappresentata in "Bridgerton"

La gran parte degli ultimi prodotti culturali di ambientazione storica sono creati a immagine e somiglianza del pubblico a cui sono destinati e il passato è solo un contorno, una scenografia entro la quale si muovono personaggi che sembrano appartenere alla Generazione Z. Quando il passato si discosta troppo dalle caratteristiche e dai valori degli spettatori, la storia viene distorta fino a che non si trasforma in un duplicato del presente. Così l’età Regency (1811-1820) di «Bridgerton» è caratterizzata da una società multietnica, governata da una regina mulatta, oppure le donne greche protagoniste di tante moderne rivisitazioni del mito diventano icone femministe.

Il passato come lotta tra il bene e il male

La rappresentazione del passato è una questione delicata, perché è molto difficile mostrare la realtà storica con tutta le sua violenza, misoginia e intolleranza senza rischiare di giustificarla. D’altra parte non si possono nemmeno trasformare uomini e donne del passato in attivisti dei diritti umani, o trasformare la storia in una lotta tra il bene e il male.

A questo proposito è sconcertante il film «The Woman King», in uscita nei prossimi mesi, che racconta la storia di una donna a capo delle Mino del Dahomey, o «Amazzoni del Benin», un gruppo militare esclusivamente femminile al servizio del re di Dahomey, tra il Settecento e il Novecento. Fin qui sarebbe tutto corretto, ma il trailer mostra queste donne prendere il controllo della guerra contro i cattivi europei, giunti per rendere tutti schiavi. Peccato che il Regno di Dahomey fosse coinvolto nella tratta degli schiavi e le stesse donne guerriere partecipassero ai raid per catturare e imprigionare uomini, donne e bambini delle popolazioni confinanti. Magari il film sarà molto più approfondito e rispettoso della realtà storica di quanto sembri dal trailer, ma dalle prime immagini sembra di assistere a un epico conflitto tra donne nere che lottano per la libertà di tutti gli africani contro gli uomini bianchi schiavisti.

Se così fosse, dimostrerebbe l’ennesimo totale disinteresse di cinema e TV per una rappresentazione realistica del passato, a favore di una manipolazione della storia in chiave supereroistica, che contrappone buoni contro cattivi. l pubblico, infatti, non potrebbe tifare per guerrieri che facevano affari sulla pelle dei disgraziati vicini venduti come schiavi. E purtroppo spesso la storia si riduce a questo: al tifo da ultras.

Storia come sfogo di manie e perversioni

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Nerone, il tiranno per eccellenza ("Quo vadis?", 1951)

In alcuni film o serie TV c’è un buon lavoro di ricostruzione storica, a volte persino ottimo. La stessa cura dei dettagli, però, raramente si applica ai personaggi, che finiscono per diventano maschere tragiche, soprattutto quando si parla di uomini al potere. Il mondo greco e latino ha creato il topos letterario del tiranno, a cui si finisce inconsapevolmente per aderire, se non si fa attenzione. Caratteristiche del prototipo del tiranno sono crudelitas, saevitia, libido, superbia e avaritia, cioè crudeltà, furia, lussuria, arroganza e avidità.

Per i suoi peplum la vecchia Hollywood attingeva a piene mani da questi stereotipi, così che in «Quo vadis?» i romani al potere sembrano tutti più o meno psicolabili e maniaci sessuali. Il passato permette di indulgere in scene di violenza e perversioni sessuali che sarebbero sconvenienti in film ambienti ai giorni nostri: la serie «Spartacus» potrebbe essere rinominata «Sesso, sangue e sabbia» e anche una produzione con diversi meriti come «Domina» cade clamorosamente sulla rappresentazione degli imperatori. Se con Augusto si è cercato di avvicinarsi all’uomo che fu (anche se nella serie sembra che sia diventato imperatore per caso e deve essere costantemente salvato da sua moglie Livia), è invece allucinante la rappresentazione di Tiberio. Il futuro secondo imperatore di Roma riprende fedelmente il topos del tiranno maniaco, un individuo represso e inquietante che strangola prostitute, ricorre con estrema facilità alla violenza e prova desiderio sessuale per la madre.

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Dopotutto, il connubio potere & lussuria è uno standard per film e serie TV, ancora meglio se mescolato all’incesto. Accade con i Lannister del «Trono di Spade», che sebbene sia un fantasy è legato a molti topoi della letteratura classica, e accade con Commodo nel «Gladiatore».

Storia per riflettere sul presente

Usare il passato per parlare del presente

Un grande classico. D’altra parte, si studia la storia per capire il presente, no? A volte però il bisogno di parlare ai contemporanei è così forte da giungere a una manipolazione della storia per dare più forza alla denuncia sociale.

L’esempio più clamoroso, anche per gli effetti devastanti che ha avuto in seguito, è la «Germania» di Tacito. Allo storico romano interessava relativamente dare un resoconto veritiero e preciso della popolazione germanica e della sua cultura: preferiva esaltare quel popolo, fino all’eccesso, per fare vergognare romani e denunciare i costumi corrotti dei suoi connazionali. La «Germania» si comprende solo se si ha ben chiara questa premessa. Non significa che le informazioni contenute nel testo siano tutte false, anzi, ma bisogna capire che il discorso di Taxcito ha un fine ben preciso: parlare dei germani per parlare ai romani.

Immaginare il futuro cambiando il passato

germania tacito
I germani, modello per i nazionalisti tedeschi dell'Ottocento

Da quando fu riscoperta nel Cinquecento, la «Germania» divenne la Bibbia dei tedeschi moderni. Offriva il modello di un popolo libero, eroico e razzialmente puro, capace di resistere a un nemico straordinariamente più ricco e potente, ma corrotto. Non è esagerato dire che se gli studiosi tedeschi non avessero accettato acriticamente tutto quello che aveva scritto Tacito, la componente razzista del nazismo sarebbe stata ridimensionata. Questo non significa che non si sarebbe stato alcun regime, o che il razzismo non avrebbe avuto un ruolo centrale nell’ideologia di Hitler, ma la «Germania» di Tacito ha avuto un’influenza tale sulla cultura tedesca che è davvero difficile immaginare che senza quel libro l’ideologia nazista sarebbe rimasta la stessa.

Storia per far conoscere il passato

Finiamo la rassegna sull’uso e la manipolazione della storia con quest’ultimo impiego: raccontare la storia per far conoscere il passato. Sembrerebbe ovvio, ma è sorprendente vedere quanto poco rispetto ci sia nel trattare il materiale storico, spesso messo in secondo piano rispetto ad altri scopi (propagandistici, pubblicitari, ideologici). Bisogna dire che è molto difficile ricostruire il contesto storico per un’opera di narrativa, perché bisogna conoscere benissimo il periodo ed essere abbastanza bravi nella scrittura da risultare comprensibili (e non indigesti) ai moderni. È difficile, ma non impossibile e lo dimostrano tante buone opere, soprattutto letterarie.

Un romanzo che funziona

Un esempio notevole di romanzo storico è «L’azteco» di Gary Jennings. Come suggerisce il titolo, il protagonista è un azteco, che ripercorre la sua vita fino al momento della colonizzazione spagnola. Il libro poteva limitarsi a una denuncia dell’imperialismo europeo, alterando la rappresentazione degli aztechi per trasformarli in un popolo pacifico e rispettoso di ogni essere vivente e rafforzare così l’indignazione dei lettori di fronte al crollo della loro civiltà. L’autore invece, per fortuna, ha voluto rendere giustizia a quella società descrivendola nel modo più fedele possibile, con tutte le sue luci e le sue ombre. Per esempio, i sacrifici umani sono descritti senza indulgere in descrizioni raccapriccianti per il brivido dei lettori e senza attribuire al protagonista un sistema di valori contemporaneo.

Il grande merito di questo romanzo è di mostrare un pezzo di storia per quello che fu. I lettori non sono stupidi e capiscono anche da soli che lo sterminio di migliaia di persone a seguito di guerre e colonizzazioni sia un evento tragico. Non è necessario scriverlo nero su bianco e ripeterlo a ogni pagina. Sarebbe poi assurdo offrire un risarcimento postumo a una civiltà scomparsa cancellandone ogni difetto, per favorire l’empatia dei lettori.

Dietro all’«Azteco» c’è un lavoro immenso, ben dodici anni tra ricerca e scrittura, con l’autore che è andato a vivere tra le popolazioni del Messico che conservano tradizioni di quel remoto periodo e ancora parlano la principale lingua azteca (il nahuatl). Questo è avere rispetto della storia, dei popoli e delle culture antiche.

La manipolazione della storia nei secoli: conclusioni

La storia può essere impiegata anche per altri scopi che non siano il semplice studio del passato; è sempre stato fatto e sempre lo sarà. Si può però almeno cercare di non maltrattarla troppo e per farlo basterebbe seguire una semplice regola: avere rispetto del passato.

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Per approfondire la manipolazione della storia

Quando ci si avvicina alla storia può diventare difficile destreggiarsi tra fatti, propaganda e luoghi comuni. Per questo Laterza ha creato una nuova collana di volumetti di fact checking, legati a temi ancora sensibili del Novecento. Per un esempio di manipolazione di fatti e fonti riguardo a un evento storico preciso rimando all’articolo sui miti della storiografia russa sulla seconda guerra mondiale.

George Mosse spiega l’influenza dei prodotti culturali di massa, soprattutto a sfondo storico, sulla creazione di una coscienza nazionale in “La nazionalizzazione delle masse” e “Le radici culturali del Terzo Reich“. Sono volumi più di 60 anni, eppure continuano a essere imprescindibili per chiunque voglia capire il regime nazista e il nazionalismo europeo in genere.

Le fonti storiche possono rivelarsi pericolose non solo quando sono coscientemente falsificate, ma anche quando non sono comprese appieno. Christopher B. Krebs ricostruisce le avventurose vicessitudini dell’opera in un libro che sembra un romanzo: «Un libro molto pericoloso. La “Germania” di Tacito dall’impero romano al Terzo Reich» (al momento è disponibile solo l’edizione inglese).

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4 commenti

  1. Mi è piaciuto molto il post. Alcune parti avrebbero addirittura voluto che fossero più estesi, come il tema della storia come veicolo di marketing, che considero strettamente correlato a quello della storia come sfogo di manie e perversioni. Dopotutto, in entrambi i casi si tratta di storia come spettacolo che gioca con il gusto del pubblico per temi come il sesso, il romanticismo o la violenza. Hai citato il caso Bridgerton, ma c’è anche l’esempio della serie Outlander. In generale, il problema con queste serie è che non superano e nemmeno sfruttano le idee sbagliate che il grande pubblico ha su un certo periodo storico e quindi finiscono per fare più danni di quanto possano aiutare ad attirare il pubblico verso la storia. Bridgerton è stato fortemente criticato dal fatto che il successo di pubblico del suo mondo alternativo in cui l’Inghilterra all’inizio del 19° secolo è una società razzialmente integrata con una regina nera ha (ancora una volta) lasciato la storia nell’oblio del regno di Haiti (la ex colonia francese di Sainte Domingue), la prima nazione indipendente nei Caraibi, il cui imperatore (ex schiavo) allo stesso tempo stava combattendo per sostenere l’indipendenza contro i piani francesi di riconquistare l’isola e reintrodurre la schiavitù, e la cui storia varrebbe davvero la pena raccontare in televisione o al cinema.

    • Grazie per il tuo commento, perché hai scritto una riflessione veramente interessante. Sono assolutamente d’accordo con te: non ha senso cambiare la storia per attirare certe fasce di pubblico o per dare spazio a minoranza poco rappresentate. Sarebbe molto più utile e interessante raccontare una storia diversa, come quella di Haiti, anziché fingere che nell’Inghilterra di inizio Ottocento esistesse una società multietnica come quella contemporanea! Così si potrebbero anche scoprire luoghi e personaggi meno conosciuti.

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