Come pensavano gli antichi greci? Per capirlo ci può aiutare la loro ricchissima lingua, il greco antico, che usa parole precise per definire concetti profondamente radicati nella civiltà e nella cultura greca. Quando si considera la civiltà greca bisogna però fare attenzione a non fondere idee, comportamenti e tradizioni di epoche molto diverse tra loro. L’età arcaica dominata dall’aristocrazia guerriera (VIII-VI secolo a.C.) è molto diversa dal periodo classico delle poleis (V-IV secolo a.C.) , il periodo di Atene, Sparta, delle guerre persiane, della democrazia, della fioritura delle arti; così come il periodo classico è diverso da quello ellenistico (III-I secolo a.C.), quando le città-stato perdono importanza e si affermano invece i grandi regni ellenistici, come il regno d’Egitto, il regno di Macedonia, l’impero seleucide.
Nell’articolo le parole in greco antico sono proposte secondo un criterio grossomodo temporale, a partire dall’età del bronzo fino a arrivare all’ellenismo, in modo da coprire tutte le grandi epoche della civiltà greca.
Indice
Le parole della civiltà greca: il mondo degli eroi

La civiltà greca affonda le sue radici nel mondo arcaico cantato dai poemi omerici dell’Iliade e dell’Odissea. La datazione per queste opere è incerta e di solito viene indicato un periodo tra il XI e l’VIII secolo a.C. Secondo la tradizione la guerra di Troia sarebbe avvenuta alla fine del XII secolo a.C. (1194-1184 a.C.), ma la data esatta non è così importante: quello che ci interessa è capire quali fossero i valori e gli ideali degli uomini di quel periodo, incarnati nei modelli eroici di Achille, Aiace, Odisseo (la versione greca del più famoso Ulisse).
I poemi omerici sono infatti una sorta di enciclopedia di comportamenti, riti, pratiche da seguire in guerra e forniscono istruzioni molto pratiche, che vanno dall’organizzazione di un funerale al numero e al tipo appropriato di doni che si scambiano durante un’ambasceria. All’aspetto quasi «manualistico» si affianca anche quello ideologico: gli eroi omerici sono i modelli che l’aristocrazia deve seguire.
Prima di vedere quali sono le parole che ci aiutano a entrare nel modo di pensare degli antichi greci in questa fase così antica della loro storia, bisogna precisare una cosa: l’Iliade e l’Odissea non rappresentano un periodo storico preciso. Ci sarebbe un lungo discorso da fare su questo aspetto, ma per riassumere posso dire che in entrambi i poemi confluiscono armi, oggetti, istituzioni e riti religiosi di epoche diverse, che vanno dall’età del bronzo (quella della civiltà minoica e micenea, 2800-1100 a.C.) all’inizio dell’età arcaica (VIII secolo a.C.). I due poemi sono un collage di elementi diversi, per cui i valori e le ideologie rappresentate coprono un periodo molto vasto.
Kalos kai agathos (καλὸς καὶ ἀγαθός)
“Buono e bello”. Nella civiltà greca bontà e bellezza vanno a braccetto. Gli eroi valorosi e gli dei potenti sono sempre descritti di una bellezza sfolgorante e proprio la loro luminosità è una delle loro caratteristiche più importanti. Nel greco di Omero gli occhi sono lucenti, la pelle brillante e così via, aspetti che vengono tradotti in genere come «occhi azzurri», «pelle lattea», «capelli biondi». Il lessico dei colori nel greco antico è piuttosto problematico, ma più che il colore effettivo di occhi e capelli in questi testi ciò che conta è proprio il grado di luminosità, perché la divinità viene associata alla luce, perciò dei e semidei risplendono.
Dei ed eroi greci erano davvero biondi con gli occhi azzurri?:
Leggi l’articolo sui colori nel mondo greco-romano per saperne di più.
Anche in epoche successivo il binomio buono e bello gode di grandissimo successo: basti pensare all’arte greca, dove il canone prevede lineamenti belli e regolari anche nella ritrattistica di persone reali, che appaiono così tutte uniformemente belle, simili tra loro e prive di difetti, che possano essere rughe, stempiature o nei. Molto diversa è invece la ritrattistica romana, che fa del realismo la sua caratteristica principale. Nei poemi omerici (ma non solo) la bruttezza e la deformità sono associate a individui ignobili, inaffidabili, invidiosi e da cui bisogna tenersi alla larga. In epoca più tarda il discorso si modifica un po’, perché la bruttezza diventa un’allegoria e si applica ai mostri che gli eroi combattono.
Kleos (κλέος)
“Fama, gloria”. Si tratta di un concetto fondamentale per capire la civiltà greca più arcaica perché è ciò che guida gli eroi. L’esempio più chiaro è dato da Achille, che prima della partenza degli achei per Troia si era trovato a dover scegliere fra due opzioni: vivere una vita lunga e felice, ma che dopo la sua morte non avrebbe più ricordato nessuno, o vivere una vita breve, tormentata, ma che gli avrebbe permesso di essere ricordato per l’eternità. Achille scelse la seconda opzione, come ci si aspetta da un vero eroe omerico. Per gli uomini del tempo la gloria è l’unico modo per guadagnarsi l’immortalità. Perché nel futuro possano essere ricordati grazie al loro kleos, è necessario che nel presente si costruiscano la timé.
Timé (τιμή)
“Onore”. La timé non è solo una buona reputazione; nel mondo dei poemi omerici assume anche un aspetto molto concreto, identificato nel bottino di guerra. Un grande guerriero merita un grande bottino, segno evidente dal suo valore e della sua importanza. Questo spiega perché nell’Iliade così spesso gli eroi si trovino a litigare per avere la parte più grossa del bottino, o per avere le armi di un compagno morto, come avviene dopo la morte di Achille. Non riconoscere la giusta ricompensa materiale al valore dell’eroe è un affronto terribile che non si può lasciar correre. Proprio così inizia l’Iliade, con «l’ira funesta» di Achille perché Agamennone gli ha portato via Briseide, sua schiava.
La timé ci aiuta a capire meglio un aspetto fondamentale della civiltà greca rappresentata nei poemi omerici. Gli antropologi la definirebbero una «civiltà della vergogna», contrapposta a una «civiltà della colpa». Nella civiltà della vergogna gli uomini non badano alla moralità delle loro azioni, perché il comportamento è guidato dal bisogno di mantenere intatta la propria reputazione e dalla vergogna che ne deriverebbe se gli altri perdessero la stima in loro.
Gli eroi omerici infatti non si comportano certo in modo sempre ammirevole, ma questo dipende dal loro sistema di valori, in cui la vergogna che proverebbero per essersi dimostrati poco coraggiosi, per esempio, prevale sul senso di colpa per il male causato agli altri (caratteristico della civiltà della colpa).
Come capire una civiltà lontana come quella descritta nei poemi omerici?
Per saperne di più leggi “Capire la società dei popoli antichi – Cultura e civiltà”
Le parole della civiltà greca: vivere la politica

Il linguaggio cambia con l’evolversi della società e rispetto al passato aristocratico in epoca classica cambiano anche le parole. Ora non ci sono più re o tiranni a governare i greci, ma c’è il popolo stesso, nel caso delle democrazie, o regimi oligarchici (aristocratici) che devono comunque rendere conto al popolo delle loro decisioni. La parola più significativa di questo periodo è sicuramente un neologismo nato proprio in questo momento: democrazia.
Demokratia (δημοκρατία)
“Democrazia”. È una parola composta, formata da demos (δῆμος) e kratos (κράτος), cioè «potere del popolo». Curiosamente, una parola che per noi ha un significato positivo, nel greco antico conteneva una sfumatura negativa, determinata dalla seconda parola che la componeva: kratos. La traduzione di kratos è potere, ma come tante parole greche ha un significato più specifico di quello che noi le associamo.
In greco il concetto di «potere» si può rendere in due modi diversi, arké (ἀρχή) e kratos. Arké ha un significato neutro, mentre kratos indica il potere che ha in sé una parte di violenza, perché indica chi ha avuto la meglio in un combattimento. Aristotele definisce infatti la democrazia come una forma corrotta di governo popolare, che noi avvicineremmo più alla demagogia.
Il suo giudizio negativo dipende non solo dalle sue personali convinzioni, ma anche da ciò che è stata effettivamente la democrazia ateniese: dopo la morte di Pericle, Atene è stata governata da demagoghi che usavano il popolo per i propri interessi e che gli stessi contemporanei condannavano. Questa divenne quindi demagogia (δημαγωγία), composto di demos + ago (ἄγω), detta anche oclocrazia (ὀχλοκρατία, «potere della folla»), da óchlos (ὄχλος), «moltitudine, massa», e κράτος, cioè una forma di governo dominata dalla folla, capeggiata da demagoghi.
Le parole della civiltà greca: il teatro come espressione di civiltà

Nella civiltà greca il teatro non era un passatempo, ma uno strumento fondamentale per rafforzare l’identità comune e trasmettere modelli di comportamento. Il teatro aveva una funzione civile e molte delle parole che meglio chiariscono il modo di pensare degli antichi greci si trovano nelle tragedie dei tre più grandi tragediografi greci, cioè Eschilo, Sofocle e Euripide. Tutti e tre vissero nel V secolo a.C. e non è un caso se proprio questo sia il secolo d’oro del teatro: tragedie e commedie fioriscono sotto il regime democratico, perché in questo periodo è più attiva la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini.
Hybris (ὕβϱις)
“Superbia, arroganza, eccesso”. È uno dei termini più difficili da rendere con una sola parola e al tempo stesso una delle parole più significative di tutta la civiltà greca, per cui vale la pensa spenderci qualche parola in più.
La hybris è legata in origine alla religione, ma tocca tutti gli aspetti della vita umana. È un concetto molto negativo, un peccato gravissimo che scatena una vendetta divina che può coinvolgere non solo chi si è macchiato di questa colpa, ma anche le persone vicino a lui. Chi pecca di hybris non ha rispetto per gli dei, per ciò che è sacro, non sa stare al suo posto; i miti sono pieni di uomini e donne puniti per la loro hybris, da Aracne che sostiene di essere una tessitrice migliore di Atena, la quale la punisce trasformandola in un ragno, a satiro Marsia, che sfida Apollo in una gara musicale e che quando perde viene scuoiato vivo dal dio.
La hybris indica il ribellarsi alle convenzioni sociali, credere di essere al di sopra della legge e disprezzare uomini e dei, tanto da arrivare a sfidarli. Per le società antiche non c’è posto per gli eroi solitari e ribelli, perché questi sono un pericolo per la comunità. Ad esempio, un politico o un generale che pecchino di hybris porteranno alla rovina la città, perché penseranno solo alla loro gloria.
Gli uomini però sono naturalmente portati alla superbia quando raggiungono posizioni di potere e si arricchiscono; e altrettanto naturalmente la hybris porterà loro dolore. Questo è il senso del teatro di Eschilo: l’uomo non può evitare la sofferenza, perché per sua natura tende a eccedere. Tuttavia il dolore non è inutile. Solo attraverso esperienze dolorose potrà infatti raggiungere un equilibrio, trovare il proprio posto nel mondo e diventare un buon cittadino.
Ananke (ἀνάγκη)
“Destino”. Si tratta di un altro concetto fondamentale della civiltà greca e che è alla base delle tragedie e dei poemi epici. Per i greci uomini e dei devono sottostare a una forza incontrollabile e dalla quale nessuno può sfuggire, quella del destino.
Tantissime tragedie nascono con una profezia che i protagonisti cercano di evitare. Per esempio, il re di Tebe sa che suo figlio lo ucciderà e finirà per sposare la sua stessa madre, così ordina di uccidere il figlio Edipo. Il bambino viene però salvato e cresciuto dal re di Corinto e sua moglie. Edipo scopre la terribile profezia che lo riguarda e fugge, finendo così con incontrare il suo vero padre. Dopo una lite lo uccide e come ricompensa per aver sconfitto la sfinge sposa Giocasta, la vedova del re, che sarebbe sua madre.
Sfuggire al destino è impossibile, ma la tragedia è che questo non assolve gli uomini dai loro crimini. La tragedia di Sofocle, «Edipo Re» inizia infatti con una pestilenza che colpisce Tebe, che gli dei scagliano proprio per punire Edipo, e termina con il suicidio di Giocasta e l’accecamento di Edipo, che dopo aver scoperto la verità se ne va in esilio.
Le parole della civiltà greca: la filosofia

La filosofia è uno dei campi per cui il greco antico ha generato più parole. Al momento mi limito solo a una, perché l’argomento è così vasto che meriterebbe un articolo a parte.
Meson (μέσον)
“Misura”. Anche questa è una parola imprescindibile per chi vuole capire il modo di pensare degli antichi greci e la civiltà greca in genere e trova la sua spiegazione migliore in una frase di Aristotele: μέσον τε καὶ ἄριστον, cioè «la virtù sta nel mezzo».
Come è già apparso chiaro dal concetto di hybris, i greci non amavano l’eccesso, che anzi consideravano una caratteristica tipica dei barbari. L’uomo greco doveva essere capace di misurarsi e trovare un equilibrio fra gli eccessi. Per esempio se un uomo manca di coraggio è un vile, ma se smania per combattere diventa un temerario, un pericolo per sé e i compagni; bisogna sapere calibrare emozioni e azioni e trovare «il giusto mezzo» (μεσότης, mesotes). Attenzione però, non si tratta di una giustificazione della mediocrità, anche perché i greci erano fortemente competitivi. Si tratta piuttosto di una guida per evitare comportamenti scorretti e pericolosi e ricordarsi di essere uomini, non bestie che non hanno il controllo dei loro istinti animali.
La ricerca della misura appare molto chiara nell’arte classica, in cui gli individui sono raffigurati con espressioni calme e solenni, in pose rilassate, in una parola: equilibrati. I movimenti contorti, i volti angosciati, il realismo grottesco e l’agitazione arrivano più tardi, con l’arte ellenistica: in quel tempo i cittadini sono diventati sudditi, l’arte e il teatro non formano più uomini che devono partecipare al governo della città e anche i valori sono cambiati. Se prima le emozioni e i sentimenti erano nascosti, in seguito diventano evidenti, violenti, «patetici».
La misura sembra messa da parte, ma non verrà dimenticata. I romani apprezzano molto questo concetto e la mesotes del greco antico cambierà nome: diventerà medietas.
Bibliografia
Un libro sul greco antico e la sua grammatica è “La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco” di Andrea Marcolongo (2016). Personalmente non l’ho amato molto, perché tende a rappresentare gli antichi greci come figure sovrumane senza difetti: oltre a non essere realistica, questa immagine di perfezione assoluta finisce per far sentire lontano questo popolo che invece ci è così vicino. Se non si ha alcuna conoscenza del greco antico, però, può comunque dare un’idea di come funzionava la lingua.
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Molto più preciso e specialistico è “Lexis. Lessico della lingua greca per radici e famiglie di parole” (2018). Un libro per entrare dentro le parole del greco e sviscerarne le etimologie che non dovrebbe mancare nella biblioteca di nessun amante di questa lingua antica.
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Un altro libro divulgativo è “Viva il greco. Alla scoperta della lingua madre” (2021) del classicista Nicola Giardini.
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Per chi invece volesse concentrarsi sul contesto storico e sulla società greca, l’ideale è cercare un manuale liceale di letteratura greca, dove gli argomenti sono trattati in ordine cronologico e preceduti da un’introduzione che spiega i principali aspetti storici, sociali e culturali del tempo.
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Conoscevi già queste parole in greco antico?
Quale di queste ti ha colpito di più?
Mi hai riportato al liceo con questo articolo (che mi ero persa misà ) . Mi ha sempre affascinato la parola ananke, non perché sia una fan del destino , ma perché lo trovo un concetto ben più complesso di quello che sembra…
È vero, dietro ogni parola greca c’è un mondo di significati. È questo che la rende una lingua così affascinante!