Il teatro greco è uno degli argomenti più affascinanti del mondo greco, e uno dei più utili a capire la società ateniese del V secolo a.C., l’età d’oro della città. A raccontare la storia del teatro e perché fosse tanto importante da spingere lo stato a finanziare gli spettacoli teatrali non sarò io, ma la mia amica Giselle, esperta di teatro e con una laurea in lettere antiche. Da qui in poi, l’articolo è tutto suo.

Ai giorni nostri, andare a teatro è una scelta per lo più personale, che può essere dettata da curiosità, interesse, voglia di ampliare la propria cultura. Diversamente, ciò che rende peculiari le rappresentazioni teatrali del mondo greco è il loro costituirsi come un vero e proprio rituale collettivo, un’occasione di aggregazione sociale a cui era chiamata a partecipare tutta la pòlis (per essere precisi, chi ne aveva diritto, ovvero i cittadini ateniesi maschi). Non solo: l’organizzazione teatrale si configurava altresì come un potente strumento di competizione. Lo Stato, infatti, insieme alle famiglie più abbienti incaricate di fornire i mezzi necessari per realizzare gli spettacoli, svolgeva una funzione organizzativa di primo piano favorendo l’agonismo culturale. Queste, dunque, sono le premesse per lo sviluppo del dramma attico, una delle più alte espressioni della letteratura mondiale.

origini teatro greco
Il teatro greco era legato al culto di Dioniso.

Il teatro greco, avendo un suo intrinseco carattere rituale, era strettamente collegato con il culto di Dioniso e, di conseguenza, con le festività religiose ad esso annesse: le Piccole Dionisie, le Lenee (in cui venivano presentate solo le commedie) e le Grandi Dionisie, queste ultime dette anche “Dionisie cittadine” poiché vi assisteva un pubblico notevolmente numeroso, proveniente da diverse parti dell’Ellade. Gli agoni drammatici, inseriti in un insieme di manifestazioni comprendenti gare di danza, musica e poesia ditirambica, erano costituiti da due generi principali: tragedia e commedia. I poeti tragici vi partecipavano in numero di tre, ciascuno presentante una tetralogia (tre tragedie e un dramma satiresco), mentre i poeti comici, anche loro in numero di tre (successivamente cinque) presentavano una commedia ciascuno.

La prima rappresentazione teatrale di cui si ha notizia risale al 535 a.C.: allora Atene si trovava sotto il tiranno Pisistrato e, durante le Grandi Dionisie, il poeta Tespi presentò una tragedia, in cui lui stesso era attore e maestro del coro. La prima competizione drammatica vera e propria, però, sarebbe coincisa con l’Olimpiade del 499-496.

Per quanto riguarda le commedie, alcune rappresentazioni comiche si tennero per la prima volta alle Grandi Dionisie del 486 a.C. e alle Lenee nel 442, oltre ad essere presente altresì un concorso per attori comici in occasione delle Antesterie, le feste dei fiori e del vino nuovo.

Teatro: etimologia della parola

Il teatro greco del V secolo a.C., dunque, lungi dall’essere espressione di un rustico ambiente contadino (seppure siano numerose le tesi sulle origini del dramma tragico e comico che lo riconducano a tale contesto), è centrale nella vita della città, in cui il pubblico cittadino, vero padrone del testo, ne è il committente e destinatario prediletto. D’altronde, il teatro non è che un mezzo diverso per riperpetuare un processo già incominciato con l’epica, cioè quell’abitudine all’ascolto collettivo già così presente nei racconti omerici.

Grazie alla parola, dunque, la narrazione (épos) si fa azione (dràma, a sua volta derivante dal verbo dráo, “agire”): in questo modo nasce il teatro (gr. Théatròn, da theáomai, “guardare), con le peculiarità tipiche dell’universo in cui è nato e si è sviluppato, quello dell’Ellade del V secolo a.C. Pertanto, possiamo accogliere la felice espressione coniata da Giulio Guidorizzi a proposito del teatro greco: “teatro della parola”, in cui la parola si fa immediatamente azione.

Tipi di spettacoli teatrali nell’antica Grecia

Gli spettacoli teatrali dell’antica Grecia erano costituiti da due generi principali, la tragedia e la commedia. Vediamone le caratteristiche principali.

Tragedia

tragedia greca
Il mito di Edipo ha fornito il materiale per una delle tragedie greche più famose e importanti: l'"Edipo Re" di Eschilo. Foto: Kýlix attica del Pittore di Edipo (V secolo a.C.).

Origini della tragedia greca

Esistono varie teorie sull’origine del genere tragico. Partendo dalle più antiche, la prima testimonianza che abbiamo proviene dal I libro della Poetica del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.), il quale, mettendo a confronto il genere epico con quello tragico, sostiene che quest’ultimo abbia avuto origine da “coloro che intonavano il ditirambo” (apò tòn exarkónton tòn dithyrambon), un canto in onore, non a caso, di Dioniso; in effetti, la connessione di questa divinità con il teatro greco non scomparirà mai (non a caso, in età classica era stato innalzato un altare a Dioniso proprio nel teatro).

Un’altra importante testimonianza relativa all’origine della tragedia proviene dallo storico greco Erodoto (484-425 a.C.), il quale narra come, nel VI secolo a.C., il tiranno di Sicione di nome Clistene proibì ai suoi sudditi il culto dell’eroe argivo Adrasto, celebrato con “cori tragici”, restituendo così questi cori a Dioniso e sostituendoli con il culto dell’eroe tebano Melanippo.

In età preellenistica, il sostantivo traghodìa venne inteso come “canto dei capri” (alludendo ai coreuti mascherati da satiri). In seguito, gli eruditi alessandrini (III sec. a. C. circa) lo interpretarono invece come “canto per il capro”, sia che l’animale fosse dato in premio al vincitore, sia che fosse la vittima sacrificale di un rito propiziatorio. In tal senso, i “cori tragici” potrebbero essere in onore dell’eroe defunto (in questo caso Adrasto), quindi rappresentare con chiarezza il contenuto luttuoso della tragedia, evidenziando al contempo la tendenza dei poeti tragici ad attingere i loro soggetti dall’epica omerica.

Non mancano, altresì, teorie moderne sulle origini della tragedia, tra cui si può menzionare quella di Friedrich Nietzsche, che nel 1872 pubblicò La nascita della tragedia, in cui distingueva tra componente “apollinea” e “dionisiaca”, due facce della stessa medaglia che rappresentano due opposte tendenze nello spirito greco: quella apollinea legata al senso di misura, compostezza ed equilibrio in cui si identificava l’immagine del dio solare Apollo, quella dionisiaca invece legata all’espressione dell’irrazionalità durante l’invasamento provocato da musiche, danze e riti orgiastici e misterici. La tragedia, secondo il filosofo tedesco, sarebbe la massima espressione della coesistenza e mescolanza, nell’universo greco, di queste due forze.

Caratteristiche della tragedia greca

Tutte le tragedie greche si fondano sul mito o, a volte, sulla storia. Ogni scrittore, comunque, aveva un certo margine di libertà nel narrare e trattare gli argomenti del proprio dramma. Per questo motivo, dunque, l’Antigone del tragediografo Sofocle differisce enormemente a livello contestuale dall’omonima tragedia di Euripide, benché la materia mitica sia la medesima.

Ma quali sono gli elementi costitutivi del dramma?

  • Il primo è il dolore, la sofferenza (pàthos) di un eroe, il quale deve scontrarsi con gli ostacoli della vita, che è a sua volta una metafora del destino umano nella sua complessità. Secondo George Steiner, la tragedia è estranea alla concezione ebraico-cristiana del mondo: non conosce infatti redenzione, per le sofferenze umane non si ha una spiegazione, esistono e basta e l’uomo deve accettare il suo destino, che può anche rivelarsi assurdo, crudele e ingiusto.

  • Il secondo elemento fondamentale è la scelta (hairesis): spesso l’eroe tragico è posto dinanzi a due possibilità, entrambe dolorose, a cui non può sottrarsi; per questo motivo l’eroe si configura come tale, per il fatto che affronta la sua sorte, senza alcuna traccia di angoscia e indecisione di fronte a una scelta (lontanissimo da ciò è il dissidio del ben più moderno Amleto shakespeariano). Di fronte a questo atteggiamento nasce, appunto, la grandezza dei personaggi tragici.

  • Ultimo e non meno importante elemento della tragedia è il destino (ananke). Seppur dotati della possibilità di decidere liberamente, i personaggi della tragedia vengono limitati nella loro libertà da forze a loro esterne che ne ostacolano di continuo l’autoaffermazione. Da ciò scaturisce un clima di fondo della tragedia dominato da un pessimismo che, però, non si trasforma mai nella disperazione più totale: come si è visto, l’eroe è sempre consapevole, anche di fronte alla sconfitta, di non potersi ribellare al Destino, potenza superiore allo stesso Zeus.

Struttura della tragedia greca

Le tragedie hanno una struttura molto rigorosa:

  1. innanzitutto vi è un Prologo, che narra i fatti accaduti prima di quelli che si svolgeranno nel dramma;

  2. segue la Parodo, o entrata del coro, un gruppo di personaggi guidati da un corifèo; talvolta quest’ultimo dialoga con gli attori in rappresentanza di tutto il coro, altre volte è il coro stesso a contrapporsi ai personaggi tragici.

  3. Dopo la Parodo, poi, una serie di Episodi (in cui si sviluppa l’azione principale) vengono alternati a una serie di Stasimi (in cui vi è il canto corale).

  4. Infine, vi è l’Esodo, che, con l’uscita del coro e di tutti i personaggi, chiude la tragedia.

I tragici greci: Eschilo, Sofocle e Euripide

La nostra conoscenza del teatro greco si basa quasi esclusivamente sulle opere di tre drammaturghi del V secolo a.C.: Eschilo, Sofocle ed Euripide. Delle più di mille tragedie scritte tra il 500 e il 400 a.C., infatti, ne sono rimaste solo 31, tutte dei tre autori appena menzionati. In questi testi, però, si possono comunque individuare quelle che sono le caratteristiche strutturali del genere tragico.

Eschilo

Di Eschilo (525-546 a.C.) ci sono rimaste sette tragedie delle circa ottanta di cui conosciamo solo i titoli: i Persiani, i Sette a Tebe, l’Orestea (una trilogia di cui fanno parte le Coefore e le Eumenidi), le Supplici e il Prometeo incatenato. Secondo il critico teatrale Brockett, Eschilo è a ragione il più “teatrale” di tutti i tragici greci, in quanto sfrutta a fondo tutte le risorse dello spettacolo. La spettacolarità è spesso monumentale: vengono utilizzati talvolta due cori, introdotte bighe tirate da cavalli, elementi visivi di carattere simbolico, danze e costumi fastosi. Eschilo, inoltre, è famoso per una sentenza (dalla tragedia Agamennone): páthei máthos, che si può tradurre come “conoscenza attraverso la sofferenza”: solo attraversando il dolore, dunque, si può trarre un valido insegnamento al proprio vissuto.

Sofocle

Sofocle (496-406 a.C. ca.) avrebbe scritto più di centoventi tragedie, ma a noi ne sono rimaste solo sette: Aiace, Antigone, Edipo re, Elettra, Le Trachinie, Filottete, Edipo a Colono. L’importanza di Sofocle sta nell’attenzione posta alla caratterizzazione psicologica dei personaggi, riducendo l’importanza del coro (che, spesso, sembra assumere l’aria di spettatore più che quella di attore). Sofocle è ritenuto il più abile dei tragici greci nell’organizzare la materia drammatica; l’Edipo re, oltre ad essere considerato il modello perfetto di tragedia greca, è inoltre stato, nel Novecento, oggetto d’interesse di Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, per costruire la celeberrima teoria del complesso di Edipo.

Euripide

Euripide (480-406 a.C. ca.) scrisse circa ottanta tragedie, ma ce ne sono rimaste unicamente diciassette: Alcesti, Medea, Ippolito, Gli Eraclidi, Andromaca, Ecuba, Eracle, Le Supplici, Ione, Le Troiane, Elettra, Ifigenia in Tauride, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti, Ifigenia in Aulide. Sebbene godette di grande popolarità dopo la sua morte, durante la sua vita i suoi contemporanei ebbero alcune riserve nei confronti dei suoi drammi, dovute principalmente a tre fattori.

Innanzitutto, Euripide introduceva spesso argomenti ritenuti inadatti alla rappresentazione tragica; in secondo luogo, l’esplorazione molto realistica delle motivazioni psicologiche dei personaggi veniva ritenuta poco dignitosa per la materia tragica. Infine, attraverso i suoi personaggi, Euripide sembrava mettere in dubbio i valori tradizionali, presentando individui che criticavano il senso di giustizia degli dèi, insinuando come fosse il caso (la tyche) a dominare il mondo. D’altronde, anche la tecnica drammatica di Euripide veniva considerata confusa e poco equilibrata, soprattutto per l’ampio ricorso al deus ex machina (una divinità che, bruscamente, interveniva nel finale del dramma a risolvere tutti i conflitti, quindi introducendo addirittura l’elemento del lieto fine).

Ciononostante, Euripide inaugurò una serie di pratiche drammatiche che sarebbero poi state sviluppate nel quarto secolo a.C., scegliendo spesso miti minori come soggetti delle proprie tragedie o alterando notevolmente quelli più famosi (nell’Elena, ad esempio, si scopre che la donna responsabile dell’inizio della guerra di Troia, al momento della fuga con Paride, sarebbe stata sostituita da una “controfigura” mentre la vera Elena sarebbe stata nascosta dal dio Ermes in Egitto, dove il marito Menelao, dopo anni, la avrebbe ritrovata e ricondotta con sé in Grecia!). Inoltre, Euripide rifletté quello che fu il lento processo di trasformazione che stava subendo la tragedia greca verso la fine del quinto secolo, quando alla profondità dell’analisi psicologica dei personaggi si andava sostituendo l’interesse per l’intreccio e per le svolte improvvise dell’azione.

Commedia

commedia nuova teatro greco
Rilievo di Menando con maschere della Commedia Nuova (I secolo a.C.-I secolo d.C.). Foto: Dave & Margie Hill / Kleerup, Public domain, via Wikimedia Commons.

Origini della commedia

La commedia, in Grecia, ottenne il riconoscimento ufficiale solo nel 486 a.C., quando venne accettata nelle Dionisie cittadine. Secondo Aristotele, sarebbe nata nel corso di particolari cerimonie in cui veniva trasportato in processione un simbolo fallico per invocare la fecondità della terra. I partecipanti erano sovente travestiti da animali e cantavano e danzavano scambiando motteggi con gli spettatori. Nessuno di questi riti fallici, però, aveva forma drammatica, e il processo attraverso cui si è veramente sviluppata la commedia non è così chiaro. Tuttavia, Aristotele riferisce che le popolazioni doriche si attribuirono il merito di aver inventato la commedia, vantando l’opera del poeta Epicarno di Siracusa (VI-V sec. a.C. circa), una colonia dorica della Sicilia. Pur avendo notizie molto scarne sull’origine degli spettacoli comici, però, sappiamo che nell’Atene del V secolo a.C. la commedia era un genere vivo ed apprezzato dal pubblico.

Struttura della commedia greca

L’impalcatura strutturale della commedia è molto semplice:

  1. il Prologo in cui viene spiegata la situazione iniziale e in cui si espone la “trovata”,
  2. l’entrata del coro,
  3. l’Agone (un dibattito sui pregi dell’idea proposta) ne rappresentano la prima parte.
  4. Ciò che è la vera peculiarità della commedia, però, è la Parabasi, che divide la prima parte degli eventi dalla seconda: essa è sostanzialmente un’ode corale in cui il coro si rivolge direttamente al pubblico e in cui vengono spesso discussi problemi di attualità anche molto caldi.
  5. La seconda parte della commedia, poi, è costituita da diverse scene che mostrano il risultato della trovata iniziale, poi concluse dalla scena finale, in cui tutti i personaggi si riconciliano e, spesso, si recano a festeggiare.

Commediografi greci

Fra i pochissimi nomi che ci sono rimasti di commediografi antichi, l’unico autore di cui disponiamo anche dei testi delle sue opere è Aristofane (448-380 a.C. ca.). Della quarantina di sue commedie, ce ne rimangono solo undici: Gli Acarnesi, I Cavalieri, Le Nuvole, Le Vespe, La Pace, Gli Uccelli, Lisistrata, Le donne alla festa di Demetra, Le Rane, Le donne a parlamento, Pluto. Ciò che risalta particolarmente dalle commedie aristofanee è il riferimento diretto e molto esplicito a fatti e problemi contemporanei, alla vita sociale, culturale e politica di Atene (la guerra contro Sparta, i procedimenti giudiziari, l’educazione dei giovani e via dicendo). Ogni commedia, infatti, svolge un argomento centrale (ad esempio, l’elogio della pace) e innesca l’azione comica grazie a una “trovata” (nella Lisistrata, per esempio, lo sciopero del sesso da parte delle donne per costringere gli uomini a finire la guerra)..

Il declino del teatro greco

Dopo il 404, quando Atene fu sconfitta nella guerra del Peloponneso, la satira politica e sociale scomparve sempre di più dalla commedia. Contemporaneamente, anche la tragedia incominciò un lento ed inesorabile declino: con la fine del quinto secolo, si era conclusa la prima grande fioritura della scrittura drammatica.

Le funzioni del teatro greco

teatro greco antico epidauro
Teatro di Epidauro, Grecia.

Dopo aver analizzato le principali forme di spettacoli del teatro greco ed averne individuato gli autori, resta da chiedersi: ma quali erano le funzioni del teatro greco? A che scopo venivano realizzati spettacoli teatrali, peraltro grazie a un ingente investimento da parte dello Stato? Le risposte sono molteplici, ma possiamo individuare tre funzioni principali del teatro greco.

Innanzitutto, una funzione sociale: nel teatro greco del V secolo non vi è traccia di una dimensione privata, l’azione rappresentata si svolge all’esterno, davanti agli occhi di tutti i cittadini, che sono chiamati a partecipare a questa forma di ritualità. Inoltre, ogni aspetto viene controllato e organizzata dallo Stato.

Vi è poi una funzione educativa: lo spettatore greco, recandosi a teatro, aveva modo di celebrare le antiche vicende del mito, patrimonio comune di tutta la cittadinanza, riperpetuare precetti religiosi, meditare sul mistero dell’esistenza e rafforzare lo stesso concetto di comunità civica.

Infine, il teatro greco ha anche un’importante funzione politica: il teatro è manifestazione collettiva della pòlis, in cui la città viene messa al centro, dunque lo spettacolo teatrale riflette le idee e i problemi della vita culturale e politica dell’Atene democratica. Se il mito diviene metafora dei problemi della città, la commedia ne diviene diretta portavoce. Con due mezzi diversi, pertanto, come scrisse J. P. Vernant in Grecia è la città stessa che si fa teatro ponendosi sulla scena davanti ai cittadini, attraverso la mediazione del poeta tragico o comico.

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Per approfondire

Aristotele, Poetica, Libro I.

Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, 1872.

Giulio Guidorizzi, Introduzione al teatro greco, Milano 2003.

guida completa teatro greco
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GISELLE ALOI

Ciao! Mi chiamo Giselle, ho 27 anni e vivo in un paesino in provincia di Cuneo. Mi sono laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Torino, ma agli studi umanistici ho sempre affiancato quelli per la musica e il pianoforte, frequentando il Conservatorio di Torino e poi di Cuneo. Un’altra grande passione che mi ha accompagnata fin da bambina, però, è stata quella per il teatro: per questo, ho deciso di dedicare la mia tesi triennalistica in lettere antiche sull’analisi di una tragedia greca, l’Edipo a Colono, e sul suo rifacimento contemporaneo da parte di Mario Martone, per mettere in luce quanto attuali possano ancora essere i valori trasmessi da un mito narrato in un testo tragico dell’antichità.
Instagram: gis_sonante

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